Il 4 maggio 1988, allora corrispondente da Mosca, il giornalista Ezio Mauro, che sarebbe divenuto poi direttore de “La Repubblica”, pubblicò sul quotidiano un lungo articolo dedicato alle difficoltà di vivere e praticare la fede cristiana – anche quella cattolica – in un regime sovietico che, con al vertice Gorbaciov, già vacillava. Di lì a poco il Muro di Berlino si sarebbe sgretolato e l’impero rosso, apparentemente monolitico, sarebbe finito in frantumi. La corrispondenza di Ezio Mauro rimane però come un documento da rileggere, anche per scacciare talune visioni romantiche che descrivono come aperti e liberali gli ultimi anni dell’Urss. Ecco la sua intensa testimonianza.
di Ezio Mauro
MOSCA – Come un uomo di catacomba, Ghenrich Urbanovich accende il suo fiammifero alle 5,30 del mattino. Per lo Stato e per tutti è un portinaio in pensione, ma in realtà all’ alba è un sacrestano, cattolico romano. Alla luce del fiammifero si china sul lucchetto e apre il cancello di San Luigi, la parrocchia di Mosca. Tra dieci minuti, dal filobus scenderà il vecchio parroco Stanislao Mazhenka e verrà su a piedi come fa ogni mattina che Dio manda in terra, da ventitré anni: passa accanto alla Lubianka senza nemmeno più vederla, anonimo nella sua cravatta nera sotto la giacca, appeso a quella cartella da scuola che dentro ha una tonaca antica come i suoi 83 anni. Dai loro sentieri misteriosi di fede, stanno spuntando ad una ad una le vecchie, un uomo che si inginocchierà e poi si prostrerà a terra davanti all’ altare, undici fedeli in tutto per la messa in latino delle sette. Poi, alle 9,30 il lucchetto chiuderà di nuovo il cancello, fino a domani. Perché la parrocchia di Mosca vive quattro ore al giorno tra l’ alba e il mattino e quando nevica come l’ altro ieri e tutti i segni svaniscono nel cortile, sembra che qui dentro non sia più entrato nessuno da sessant’ anni. Attorno al prete che sale all’ altare con i paramenti che gli ha portato da Roma un turista, il vino secco georgiano comprato al mercato, le ostie fatte in casa dalle vecchie fedeli, ci sono dieci milioni di anime che a quest’ ora scendono dentro il metrò di Mosca, entrano in fabbrica, vanno a scuola, viaggiano sui treni della periferia verso la città leggendo la Pravda.
Il nome di tutti i fedeli Ma lui è solo in mezzo alla sua parrocchia teorica, con il sacrestano che conosce per nome tutti i fedeli dei giorni feriali, i loro peccati e le loro preghiere nel latino di Roma, un diacono di 24 anni che alle nove posa la cotta, prende la borsa e incomincia la sua giornata da stagnino. Vorrebbe fare il prete per far riposare ogni tanto padre Stanislao, da vent’ anni puntuale all’ appuntamento con la messa del mattino anche quando è malato e ha la febbre. Ma a Mosca non c’ è un seminario cattolico, e il vecchio parroco sta costruendo da solo un prete nello stagnino, in un primitivismo cattolico ostinato e disperato, che è anche un segno di fede nel futuro. Lo sta preparando con le sue lezioni dietro l’ altare, liturgia e teologia, latino e storia della Chiesa, aspettando che la Diocesi di Riga si decida e lo ordini sacerdote. Ma di quel che succede laggiù, a Riga, a Tallin e Vilnius io non so niente dice il parroco . Quanto ai rapporti con Roma, mando sempre gli auguri al Papa, a Pasqua e a Natale. Nel cuore della Terza Roma, la parrocchia della prima Roma vive così la sua vita doppia, con la messa grande della domenica in un tempio cosmopolita e pieno di gente, con i turisti, gli occidentali residenti a Mosca e i polacchi che ascoltano il Vangelo in russo e cantano persino; e con una quotidianità mattutina, gli altri giorni, fatta di confessioni all’ alba, acqua benedetta versata a mestoli nei barattoli portati da casa, una plebs sancta dei che sta tutta raccolta sotto due lampadine accese in un angolo della parrocchia buia, mentre fuori a quell’ ora Mosca è immersa dentro un colore impolverato che la Chiesa dovrebbe conoscere bene: è quello che Brodskij chiama il colore del tempo. Un tempo lungo duemila anni, per questo cristianesimo venuto dall’ Ovest nella terra che ha preso la sua fede nazionale dal Sud di Bisanzio, costruendo su quella fede, in mille anni, un suo cristianesimo dell’ Est. Per i cattolici romani, l’ Urss non è soltanto il posto di confine con uno Stato che si definisce ateo, ma il luogo in cui si incontrano e si scontrano le geografie e le liturgie, in una doppia dogana religiosa e politica. Se l’ Ortodossia ha sperimentato negli anni un suo modus vivendi nel comunismo di Stato, il cattolicesimo latino ha dovuto inventare un modus non moriendi, in un’ esistenza orientale di fedeltà con i ritratti dei Papi di Roma appesi nelle sacrestie di legno ma anche di solitudine. Le statistiche che mettono la religione cattolica romana al terzo posto nell’ Urss, dopo gli ortodossi e i musulmani, dicono il vero, ma non spiegano nulla. Dentro l’ impero, il caso del parroco di Mosca solo con dieci milioni di anime non è isolato: nella Repubblica di Russia otto parrocchie si dividono cinque preti, mentre altre cinque non hanno sacerdoti. Nell’ Asia sovietica, dove il Cristo portato da Roma deve fare i conti con Allah, ai confini del khomeinismo, i preti sono quindici, di cui uno soltanto in Tagikistan, uno in Kirghizia, così come in Georgia. Poi ci sono le Repubbliche Baltiche, con i 145 preti della Lettonia, le due parrocchie dell’ Estonia, le 630 chiese della cattolicissima Lituania con più di 600 sacerdoti e i seminari dove nelle maglie rigide del numero chiuso stanno già studiando i futuri parroci che dovranno partire per evangelizzare qualche angolo dell’ Impero, o almeno custodire le sue testimonianze di fede, se il Cremlino vorrà. Dentro i confini del Prebaltico, dove la Lituania già da 600 anni è passata con tutta la sua terra in proprietà del Beato Pietro, una fede forte, compatta, chiede di potersi esprimere. Fuori da quei confini, una fede dispersa fatica a radunarsi e a riconoscersi: e il paragone involontario ma obbligato, per i preti di Roma solitari in mezzo a una Repubblica comunista, è con i vecchi starcy dell’ ortodossia, i monaci pazzi di Dio silenziosi e isolati nel deserto sovietico, spesso lontani anche per incomprensione dalla struttura ufficiale della loro Chiesa. Tagliata fuori dalla pratica sociale, la Chiesa di Roma ha sviluppato un senso della custodia che forse si può trovare solo qui all’ Est, nella convinzione come sussurra il vecchio parroco di Mosca, che Dio conosce comunque i suoi. Una pratica di testimonianza, di sopravvivenza fedele, per forza di cose lontana dal visionarismo e dall’ ostentazione della liturgia orientale, che ogni volta assiste alla discesa del cielo sulla terra, da quando a Bisanzio i messaggeri del principe Vladimir ebbero durante la messa in Chiesa la visione del cielo aperto. Qui, nelle chiese cattoliche, il cielo è più lontano e a San Luigi in un anno si celebrano 10 matrimoni, 50 battesimi, qualche funerale quando lo chiedono: alla memoria, senza portare la bara in Chiesa. I sentimenti contrapposti della lontananza e della custodia, dell’ attesa e dell’impedimento sviluppano un altro tipo di visionarismo cattolico, miracolistico, simbolico e ammonitore, come le apparizioni della Madonna sui muri delle chiese d’ Ucraina. E’ apparsa nel giorno dell’ Assunzione, con la testa reclina, il Bambino su un braccio, come nell’ icona Donskaja, della Tenerezza. Una ragazza di dieci anni l’ ha vista uscendo di casa al mattino, tutta bianca, sopra la cupola di una chiesa di legno chiusa al culto, appena fuori dal villaggio di Gruchevo. Da allora è apparsa molte altre volte, nelle tre regioni della vecchia Galizia, Lvov, Ivano-Frankovsk e Ternopol e la gente è venuta da ogni parte per pregare davanti a lei: era sempre all’ esterno delle chiese, per testimoniare che i fedeli non possono riaprirle al loro culto, sempre circondata da un forte chiarore, come nelle icone senza ombre, dove non si sa il punto da cui arriva la luce. La vecchia gente dell’ Ucraina occidentale racconta che la Vergine era apparsa altre volte prima di grandi tragedie, come alla vigilia della guerra. Forse, come ci dice lo scrittore Vladimir Sheveliov, che studia i fenomeni religiosi ed è stato a Gruchevo (oggi città chiusa per gli stranieri) la tragedia si è già compiuta, tra il disastro ucraino di Cernobyl e la sordità di un potere locale che in un solo anno è riuscito ad accumulare centoventi proteste per aver risposto no alla richiesta dei fedeli di poter riaprire le chiese. A Ternopol, un dirigente del partito ha rotto i vetri di una finestra tra i quali la Madonna si era mostrata, per mettere così fine alla superstizione.
La Madonna di Gruchevo A Gruchevo, la milizia ha deciso di multare chi grida la vedo. A Ozernoie, un segretario ha esposto in bacheca una fotografia dei credenti in ginocchio, sotto la scritta fanatici. E proprio lì, nella zona delle apparizioni, un gruppo di atei militanti è entrato in una vecchia chiesa, ha portato fuori tutti gli oggetti di culto e li ha bruciati in un falò. Il tribunale ha punito questi estremisti dell’ ateismo, ma dietro la Madonna di Gruchevo si innalza comunque l’ ombra della Chiesa Uniate, l’ unica Chiesa ufficialmente proibita nell’ Urss, dopo che Stalin l’ ha soppressa nel 1946 ricongiungendola all’ Ortodossia. Ma gli uniati che riconoscono Roma e l’ autorità papale, conservando il rito bizantino sono vivi e fedeli, tanto che un anno fa due vescovi, ventitrè preti e centosettantaquattro laici si sono autodenunciati, firmando con il loro nome un appello al papa e a Gorbaciov per la legalizzazione della loro Chiesa sotterranea. Dietro di loro, ci sarebbero milleduecento preti di foresta, che celebrano clandestinamente la messa nei boschi, in abitazioni private, nelle chiese chiuse dal potere locale e aperte di notte dai fedeli. In occasione della perestrojka dice l’ appello a Gorbaciov consideriamo sbagliato continuare a rimanere in clandestinità. Ma per Gorbaciov sul versante cattolico tutto è più difficile. Qui la riparazione della tragedia staliniana non è mai stata nemmeno annunciata, e quanto all’ oggi, sul Cremlino pesa da un lato una specie di sciovinismo religioso dell’ Ortodossia, dall’ altro lato il timore della Prima Roma che bussa alle porte della Terza Roma. Agli occhi del potere sovietico, i cattolici dell’ Urss e in modo speciale gli Uniati, che per il Cremlino ne rappresentano il radicalismo etnico-nazional-religioso ben più dell’Ortodossia incarnano il problema irrisolvibile della doppia autorità, della duplice obbedienza: e questa volta il contrasto non è solo tra il Cielo e la terra (già difficilmente conciliabile, per uno Stato ateo) come avviene quotidianamente per la Chiesa ortodossa, ma tra la terra e la terra, cioé tra Roma e Mosca, tra la Cupola di San Pietro e le Torri del Cremlino, tra l’ Ovest e l’ Est del mondo. In gioco, insieme con l’ ideologia, c’ è la politica. E questa politica continua a trasmettere un segnale diffidente ai suoi uomini di periferia, nei confronti della religione che viene da Roma. Un documento di dieci anni fa, con le istruzioni del governo sovietico agli organi di polizia per capire il fenomeno del cattolicesimo contemporaneo, resta rivelatore: l’ ateo militante deve ascoltare attentamente i sermoni e riferirne esattamente il contenuto, indicando se il predicatore ha seguito uno schema o ha parlato a braccio, chi ha fatto la questua, chi ha servito la messa, quale era il grado di solennità e di potere emotivo della funzione, se c’ erano l’ organo o il coro. E in più l’ ateo militante deve cercare di scoprire quali sono i canali attraverso cui il parroco si informa, se ha la televisione, il telefono, se è abbonato ai giornali, se va ai concerti, e persino se la sua chiesa ha l’ altoparlante, il riscaldamento, la corrente elettrica. Oggi sono cambiate molte cose, ma i militanti cattolici del Baltico parlano di difficoltà che continuano anche nel periodo della perestrojka, con 150 chiese danneggiate negli ultimi tempi in Ucraina, alcune addirittura bruciate. E ancora nell’ incontro di venerdì al Cremlino con il Patriarca e il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa che pure ha segnato una svolta storica nei rapporti pubblici tra il potere sovietico e l’ universo della religione in Urss Gorbaciov ha continuato a parlare in astratto di credenti e in concreto di ortodossi, confermando che quella del Patriarca Pimen resta una specie di fede privilegiata nello Stato che ha come fede ufficiale unicamente l’ ateismo. La fede che viene da lontano L’ altra fede, quella che viene da lontano, da Roma, custodisce se stessa dentro le sue chiese mattutine, al centro delle parrocchie più grandi del mondo. Tiene fasciate le sue campane. Le mie, qui a San Luigi, in 23 anni non le ho mai sentite suonare dice a Mosca il parroco Stanislao . Ma a che servirebbero? Tanto i fedeli sanno dov’ è la Chiesa, non hanno bisogno d’ altro. Ma dietro un pilone della Chiesa in penombra, il vecchio sacrestano russo-polacco sa le leggende di una volta, ha custodito anche quelle: come la storia della città santa di Kitege, con i suoi conventi e le sue chiese, che fu inghiottita dalle acque del lago nel giorno in cui la fede scomparve. Quando la fede tornerà, la città riemergerà in superficie e dicono che le sue campane si sentiranno di nuovo, fino ai confini della Santa Russia.