È una delle pratiche di pietas religiosa più diffuse in Russia: si tratta dell’”angolo bello”, il luogo della casa nel quale, secondo un’antica usanza, le icone venivano collocate per la venerazione domestica. La tradizione, benché pesantemente colpita dalla repressione di epoca sovietica contro la “superstizione” della fede, si è mantenuta fino ai giorni nostri e, in passato, era diffusa soprattutto nelle campagne: le icone venivano salutate dagli ospiti e dai visitatori prima ancora dei proprietari dell’abitazione che si inchinavano davanti alle Sante immagini e si segnavano tre volte con il segno della croce. Solo successivamente gli stessi ospiti si rivolgevano ai padroni di casa. Le icone, in segno di venerazione, venivano avvolte con un panno di lino candido, simbolo di quello che avvolse Gesù nel sepolcro, il quale alla sera veniva “calato” sulle icone per essere sollevato all’alba del giorno dopo. In questo modo le immagini seguivano lo scandire della vita quotidiana nell’ambito della famiglia. La prassi non apparteneva tuttavia solo al mondo contadino: gli “angoli belli” erano diffusi pure nelle abitazioni dei nobili e, certamente, nei palazzi degli zar. Le icone più diffuse erano quelle del Cristo Pantocrator, spesso associato alla Madre di Dio di Kazan’ (spesso le due immagini in coppia venivano donate agli sposi e li precedevano al momento dell’ingresso nella loro nuova casa), di San Nicola, il “Santo dei Santi”, e dei Santi a vario titolo protettori della famiglia. L’”angolo bello” diventava così la proiezione domestica della chiesa, nel cui ambito liturgico l’icona trovava, come trova tuttora, il suo fondamento teologico. Nei tempi della persecuzione sovietica è documentato che molte famiglie avevano ricavato anfratti e piccoli ambienti nascosti nei quali l’”angolo bello” veniva celato per essere poi reso accessibile al momento della preghiera. Da osservare, infine, che è alquanto impreciso il diffuso utilizzo nella lingua italiana del presunto sinonimo “angolo rosso”, basato sulla coincidenza nella lingua russa tra le parole rosso e, appunto, bello. Trasposta in italiano, infatti, tale uniformità di significato originaria perde tutto il suo valore.